Pubblicato in origine su Wired nel febbraio 2017
Altro che Bitcoin, le applicazioni della blockchain — la tecnologia del “registro distribuito” che rende possibili anche le criptomonete — si estendono molto oltre la tecnofinanza e promettono di aiutare in maniera concreta i milioni di profughi in fuga dalle guerre, di mettere al sicuro gli arsenali nucleari di tutto il mondo e addirittura di cambiare la democrazia. Andiamo con ordine.
Fino a oggi, la blockchain era nota quasi solo per i Bitcoin, le monete virtuali che garantiscono scambi anonimi, sicuri e svolti senza l’intermediazione di un’autorità centrale. Un po’ di notorietà l’hanno conquistata anche gli smart contracts, contratti intelligenti — il cui scopo è di rendere auto-esecutivo un accordo tra due parti — che sono al centro del lavoro di una delle startup più promettenti: Ethereum. Grazie a questi contratti, per esempio, sarebbe possibile rendere automatico e immediato il risarcimento da parte di un’assicurazione nel momento in cui si verificano determinate condizioni, oppure stipulare un accordo senza la necessità di un notaio che lo renda legalmente valido.
Ma come fa la blockchain a essere così sicura da poter, secondo alcuni, sostituire banche, notai e qualunque altra autorità centrale?
Il segreto è tutto nel registro aperto e distribuito che chiunque voglia diventare un “nodo” di questa catena di blocchi (blockchain, appunto) può scaricare sul proprio computer e consultare liberamente. Il database, quindi, non viene controllato da una sola autorità, ma da tutti coloro i quali hanno deciso di diventare nodi con il compito di approvare gli aggiornamenti dei database.
Una volta che un pacchetto di modifiche viene confermato, diventa un blocco della catena, direttamente collegato al precedente. Le informazioni all’interno di ciascun blocco non possono venir modificate, a meno che i cambiamenti non vengano approvati dal 51% del potere di calcolo dell’intera blockchain (rendendo quasi impossibile che un singolo attore possa apportare unilateralmente delle modifiche). Se qualcuno cercasse di modificare il registro da solo, il meccanismo si bloccherebbe, perché verrebbe meno il “consenso” tra i nodi che mantiene intatta la blockchain.
Considerando i crescenti timori nei confronti degli attacchi hacker e le continue intromissioni da parte di Stati rivali nei sistemi gli uni degli altri, non stupisce che ci sia grande attenzione nei confronti di una tecnologia che promette totale integrità a fronte di qualunque attacco. Tutto questo vale a maggior ragione se si considerano le preoccupazioni sulla possibilità che le elezioni statunitensi, che hanno visto la sorprendente vittoria di Donald Trump, possano essere state compromesse dall’intromissione di hacker russi nell’antiquato sistema di voto elettronico diffuso negli USA.

Ma è proprio nel campo del voto elettronico che la blockchain potrebbe definitivamente cambiare le cose, rendendo sicuro non solo votare per via informatica, ma anche farlo direttamente da casa con il proprio computer. A occuparsi di questo è la startup americana Follow My Vote, che spiega: “Depositando il proprio voto come una transazione della blockchain, possiamo creare una catena che tenga traccia della conta dei voti. In questo modo, non ci sarebbero più disaccordi sul conto finale, perché chiunque voglia potrà controllare per conto proprio e verificare che nessun voto sia stato modificato, cancellato o aggiunto illegittimamente”.
Non solo il sistema di voto sarebbe molto più sicuro di quello cartaceo (permettendo considerevoli risparmi) e di quello elettronico utilizzato oggi negli Stati Uniti e in qualche altra nazione, ma sarebbero impossibili crisi come quella avvenuta nelle elezioni del 2000 tra George Bush e Al Gore e anche brogli elettorali, per esempio nei paesi che oggi necessitano di osservatori Ocse per vigilare sull’andamento delle elezioni. Un altro aspetto importante, in prospettiva, è che votare attraverso il computer di casa potrebbe aumentare l’affluenza incentivando e semplificando la partecipazione.
La blockchain, però, ha le potenzialità per incidere anche sulla vera emergenza di questi anni: la fuga di milioni di profughi dalle guerre in Africa e in Medio Oriente.

È questo l’obiettivo di Bitnation, che sta progettando una carta d’identità virtuale d’emergenza (emergency ID) basata sulla blockchain. Come funziona? “Si tratta di un rudimentale documento per persone che non hanno più la carta d’identità. L’obiettivo è di provare crittograficamente la tua esistenza e le tue relazioni familiari, registrate sulla blockchain pubblica di Horizon”.
“Il meccanismo”, proseguono gli ideatori, “funziona come un piccolo ‘web della fiducia’, in cui i membri della famiglia verificano gli uni con gli altri i legami”. Il documento virtuale genera un QR code che si può salvare sul proprio telefono o anche nel cloud, in modo da poterlo recuperare ovunque e in qualunque momento. Su questa emergency ID, quindi, verrebbero segnati nome, altezza, data di nascita e i dati di 4 membri della famiglia, che devono ovviamente confermare l’uno con l’altro la veridicità delle affermazioni. Tutti questi dati, grazie alla blockchain, non possono essere modificati, rendendoli affidabili anche per le istituzioni.
Le applicazioni sono molteplici: sarebbe possibile verificare l’identità dei profughi siriani che così tanti timori creano nella pubblica opinione e dare un’identità ai 230 milioni di bambini nel mondo che ne sono privi. Inoltre, grazie alla cosiddetta Bitcoin Visa, i profughi avrebbero un sistema affidabile e sicuro per ricevere o inviare denaro ai parenti.
In tutto questo, ovviamente, c’è una buona dose di utopia: immaginare che uomini e donne in fuga da paesi come Libia o Siria possano utilizzare la blockchain, i QR code e i Bitcoin è poco realistico. Ma questi sono solo i primi esperimenti di tecnologie che potranno, nel futuro, avere impatti molto più concreti. Lo dimostra anche il fatto che un’impresa, BanQu, stia lavorando nel campo rifugiati di Dadaab, in Kenya, per aiutare i profughi somali a crearsi un’identità economica che consenta loro di siglare contratti o aprire una linea di credito (ma il tasso di utilizzo, per il momento, è molto basso).
Dal momento che le più grandi ondate migratorie della nostra epoca sono sempre state causate dalle guerre, non è da sottovalutare il fatto che la blockchain possa avere un ruolo anche nell’impedire che ne scoppino di nuove. Se nei primi due casi i progetti, per quanto avveniristici, sono già definiti, il progetto della DARPA (la unità di ricerca del dipartimento della Difesa statunitense) è invece ancora agli albori, ma ha un obiettivo molto ambizioso: mettere al sicuro dati estremamente sensibili, da quelli relativi ai satelliti militari fino alle armi nucleari.
L’utilizzo della blockchain, come viene raccontato su Quartz, avrebbe in questo caso lo scopo di rendere possibile accorgersi immediatamente se qualcuno si è intromesso nei sistemi informatici o se qualche dato è stato modificato. La persona incaricata di seguire questo progetto, Timothy Booher, lo racconta con una metafora: “Invece di alzare il più possibile le mura del castello per impedire che qualcuno possa entrare, è più importante essere in grado di sapere chi è entrato e cosa ha intenzione di fare”.

Come sempre quando c’è di mezzo la Darpa, le prime funzioni sono in ambito militare, ma un’applicazione della blockchain di questo tipo avrebbe un’utilità enorme, soprattutto in un periodo di grandi timori relativi alla cybersicurezza. Così come potrebbe venir utilizzata per mettere al sicuro le armi atomiche, infatti, la blockchain potrebbe essere usata in ambito civile per evitare intromissioni nelle centrali nucleari, nella rete elettrica di una nazione e via dicendo, mettendo al riparo dagli attacchi hacker le infrastrutture critiche.
Visti i precedenti della Darpa — che, tra le altre cose, ha contribuito a creare Internet — è facile immaginare che se la blockchain riceverà il via libera dall’agenzia della Difesa andrà incontro a un rapido boom. E le profezie di chi ritiene che questa tecnologia si dimostrerà la seconda più grande innovazione di internet, dopo il web, potrebbero anche diventare realtà.