Se si guarda alle possibili evoluzioni future dell’intelligenza artificiale, è fondamentale distinguere tra tre tipi differenti di AI: ANI (artificial narrow intelligence: intelligenze artificiali limitate, in grado di fare una cosa sola); AGI (artificial general intelligence: intelligenze artificiali generali, in grado di fare ogni cosa a livello umano); ASI (artificial super intelligence: super intelligenze artificiali, in grado di svolgere molteplici compiti a un livello superiore a quello umano). Prima di approfondire gli ultimi due tipi di AI, vale la pena di rassicurare tutti: non solo al momento siamo fermi alle ANI, ma gli esperti non sono nemmeno sicuri che sia possibile arrivare al prossimo stadio evolutivo.
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Quando si parla di intelligenze artificiali limitate, si fa infatti riferimento a tutte quelle che abbiamo visto all’opera fino a questo momento: il filtro anti-spam, il software che stabilisce il prezzo delle case, quello che riconosce i numeri scritti a mano e quello capace di sconfiggere il campione di Go. Cosa accomuna, pur nelle loro significative differenze, tutte queste AI? Che sono in grado di fare una cosa sola; e per quanto la facciano benissimo, non sono in grado di fare nient’altro: ogni volta che si vuole affrontare un problema nuovo, si deve ricominciare da zero.
Questi limiti sono sufficienti per capire l’enorme distanza che ancora ci separa dal mondo delle intelligenze artificiali generali; una distanza, però, insufficiente a escluderne un futuro avvento, soprattutto se si considera la velocità dei progressi compiuti dalle intelligenze artificiali limitate. Un esperimento del team di ricerca Google Brain dà un’idea di quale sia il tenore di questi progressi: tre reti neurali (soprannominate Alice, Bob e Eve) sono state istruite a comunicare tra di loro. Alice, però, doveva riuscire a inviare a Bob un messaggio che Eve non potesse decifrare. Dopo 15mila tentativi, Alice è riuscita nella missione: ha mandato un messaggio cifrato che Bob è stato in grado di interpretare interamente, mentre Eve è riuscito a decrittarlo solo in parte. In poche parole, come ha scritto Arturo Di Corinto, «le reti neurali possono utilizzare una tecnica semplice per cifrare le informazioni che si scambiano senza essere state programmate per farlo; senza aver ricevuto in dotazione algoritmi di cifratura dei dati».
Alcune intelligenze artificiali hanno sviluppato ciò che sembra essere l’embrione di un vero e proprio ragionamento
Quello che colpisce è la velocità di questi progressi. Nel giro di pochi anni, si sta passando da algoritmi che hanno bisogno di vedere centinaia di migliaia di foto di un cane per imparare a riconoscerlo correttamente, a esperimenti riguardanti algoritmi capaci di cifrare i messaggi. Ma non è tutto, si è arrivati anche a intelligenze artificiali, sempre “limitate”, capaci di portare a termine il loro compito al primo colpo grazie a ciò che sembra essere l’embrione di un vero e proprio ragionamento.
Nel mese di ottobre 2016, la società DeepMind (sempre di proprietà di Google) ha pubblicato su Nature uno studio in cui rivela di aver creato una rete neurale dotata di una memoria esterna che le consente di strutturare autonomamente i dati e richiamarli all’occorrenza per fare deduzioni. Il sistema, chiamato differentiable neural computer, è stato capace di pianificare al primo colpo, senza precedenti tentativi, il percorso migliore per spostarsi tra le stazioni della metropolitana di Londra. Un progresso enorme, reso possibile dall’allenamento della macchina (con il classico metodo “sbaglia e riprova”) su mappe della metro di altre città. Mentre si allenava su queste mappe, la rete neurale ha imparato a utilizzare la sua memoria per immagazzinare dati utili e richiamarli all’occorrenza.
Per quanto anche questa AI sia in grado di svolgere un solo compito, la sua capacità di utilizzare in modo pratico la memoria, dando quindi prova di apprendimento, sembra essere il primo passo per arrivare a una vera intelligenza artificiale, di tipo umano, che sappia imparare in termini generali e poi richiamare i dati che le servono per sfruttare ciò che ha appreso. In poche parole, una AI che è in grado di fare un ragionamento (da notare che nella serie TV di fantascienza Westworld, le intelligenze artificiali mostrano i primi segni di essere davvero autonome e coscienti nel momento in cui iniziano a usare la memoria).
L’intelligenza artificiale generale fa riferimento a un computer che sia intelligente quanto un uomo su tutta la linea; una macchina che possa portare a termine ogni compito intellettuale
Ma fino a dove possono arrivare le AI? Per quanto ci sia il rischio concreto di entrare nel campo della fantascienza, l’entità e la rapidità di questi progressi ci portano a immaginare il momento in cui, in linea teorica, le intelligenze artificiali potrebbero raggiungere il livello umano, evolvendosi in AGI: intelligenze artificiali generali. La definizione che ne dà Tim Urban nel suo saggio The road to Superintelligence chiarisce meglio di che cosa si tratti: «Definita a volte Strong AI, o AI di livello umano, l’intelligenza artificiale generale fa riferimento a un computer che sia intelligente quanto un uomo su tutta la linea; una macchina che possa portare a termine ogni compito intellettuale che può svolgere un essere umano. (…) La professoressa Linda Gottfredson descrive l’intelligenza come ‘una capacità mentale molto generale che, tra le altre cose, coinvolge l’abilità di ragionare, pianificare, risolvere problemi, pensare in termini astratti, comprendere idee complesse, imparare rapidamente e apprendere dall’esperienza’. Una AGI dovrebbe essere capace di fare tutto ciò tanto facilmente quanto riesce a noi umani».
Per arrivare a una intelligenza artificiale di questo tipo, gli scienziati hanno probabilmente prima bisogno di comprendere meglio il funzionamento del cervello, ma soprattutto hanno bisogno di computer dalla potenza di calcolo molto superiore a quella che hanno a disposizione oggi. L’idea, sostenuta da chi ritiene che l’approdo a una AGI sia possibile, è infatti che l’elaborazione a una velocità crescente di una massa sempre più imponente di dati consentirà alle intelligenze artificiali, a un certo punto, di compiere un salto evolutivo che le farà diventare veramente intelligenti.
Un processo simile venne immaginato già nel 1995 in Ghost in the Shell, il celebre anime cyberpunk di Mamoru Oshii ispirato al manga di Masamune Shirow. Il protagonista, un cyborg di nome Kusanagi, spiega in un monologo cosa lo renda un individuo dotato di personalità: «Io raccolgo dati che uso a modo mio, e questo crea un miscuglio che mi dà forma come individuo e da cui emerge la mia coscienza».
Lasciando (solo momentaneamente) perdere il tema della coscienza, e senza scendere in aspetti tecnici e informatici che esulano dagli obiettivi di questo volume, quanto manca perché si possa arrivare allo sviluppo di una creatura simile: una AI dotata di intelligenza generale? Provare a fare previsioni su un avvenimento che molti ritengono non possa nemmeno verificarsi è già complesso di per sé; le cose diventano ancora più ostiche se si considera che uno degli elementi più importanti sembra essere la possibilità di creare un computer che abbia un potere computazionale simile a quello del cervello umano, dei suoi 100 miliardi di neuroni e un milione di miliardi di sinapsi.
Nel 2013 sono stati necessari 83mila processori, 40 minuti e uno dei super-computer più potenti al mondo (il giapponese K) per replicare un solo secondo dell’attività del cervello umano
Provare a capire quale sia l’equivalente informatico del cervello umano, però, significa perdersi in una giungla di calcoli estremamente diversi tra loro: alcuni ritengono che la nostra mente non superi i 38 petaFLOPS (ovvero 38 milioni di miliardi di operazioni al secondo) – e che quindi il cervello umano sia già stato superato dal più potente super-computer del mondo, che ha raggiunto i 93 petaFlOPS – mentre altri ritengono che per emulare il comportamento del cervello sia necessario raggiungere un exaFLOPS (un miliardo di miliardi di operazioni al secondo). Calcoli basati su unità di misura differenti hanno invece portato alla conclusione che il cervello viaggi 30 volte più veloce dei migliori supercomputer. L’unica cosa certa è che nel 2013 sono stati necessari 83mila processori, 40 minuti e uno dei super-computer più potenti al mondo (il giapponese K) per replicare un solo secondo dell’attività del cervello umano.
Questa giungla di calcoli estremamente diversi l’uno dall’altro non può che rendere poco attendibili le varie previsioni. E allora è forse più interessante affidarsi alle previsioni “istintive” raccolte dal filosofo di Oxford Nick Bostrom, autore di uno dei libri divulgativi più importanti in tema di intelligenza artificiale: Superintelligence. Bostrom ha intervistato centinaia di scienziati che hanno partecipato alle principali conferenze sull’intelligenza artificiale che si sono svolte tra il 2011 e il 2013, ottenendo questi risultati: secondo il 10% degli intervistati, una AGI potrebbe fare la sua comparsa entro il 2022; secondo il 50% sarà realtà entro il 2040; secondo il 90% non si dovrà attendere oltre il 2075.
Una volta raggiunta l’intelligenza artificiale generale, sembra inevitabile l’approdo a una ASI, la super intelligenza artificiale: un ulteriore passaggio che, sempre secondo le previsioni degli esperti interpellati da Bostrom, non impiegherà più di 30 anni per verificarsi. Considerando i risultati mediani delle previsioni sulla AGI, si può quindi immaginare ottimisticamente che una ASI possa fare la sua comparsa attorno al 2070. Queste previsioni, ovviamente, hanno un valore solo speculativo, ma danno comunque un’idea di quali siano le tempistiche immaginate da alcuni scienziati (senza dimenticare che una quota importante di questi ritengono che una ASI non la vedremo mai).
Ma a che cosa si fa riferimento, per la precisione, quando si parla di ASI? Sempre secondo Nick Bostrom, la superintelligenza è «un intelletto che è molto più intelligente dei migliori cervelli umani in praticamente ogni campo, inclusa la creatività scientifica, la saggezza e le abilità sociali». Una superintelligenza, quindi, sarebbe in grado di superare le nostre capacità intellettive per poi accelerare e sorpassarci di diverse lunghezze.
Il progresso tecnologico ci porterà incontro a un futuro nel quale il ritmo del cambiamento sarà così radicale che la vita umana sarà trasformata in maniera irreversibile
Affrontando temi di questo tipo, diventa inevitabile soffermarsi sulla cosiddetta “singolarità tecnologica”. Alla base di questa teoria – sostenuta in primis da Ray Kurzweil, il controverso scienziato informatico e ingegnere capo di Google – c’è la convinzione che la velocità sempre crescente a cui procede il progresso tecnologico ci porterà incontro a un futuro nel quale il ritmo del cambiamento sarà così rapido e avrà un impatto così radicale che la vita umana sarà trasformata in maniera irreversibile. Secondo Kevin Kelly, co-fondatore di Wired, la singolarità è invece quel momento in cui «tutti i cambiamenti avvenuti nell’arco dell’ultimo milione di anni saranno superati dal cambiamento che avviene nei prossimi cinque minuti».
Tutto ciò è riassunto nel modo più chiaro possibile nel grafico “countdown to Singularity”, sempre opera di Ray Kurzweil, che mostra la distanza sempre minore che intercorre tra i fondamentali progressi compiuti nella storia dell’uomo.
Come si applica tutto ciò al campo dell’intelligenza artificiale? A occuparsene per primo, già negli anni ’80, è stato il matematico e autore di fantascienza Vernor Vinge, al quale lo stesso Kurzweil (secondo il quale l’intelligenza artificiale raggiungerà il livello umano nel 2029) si è ispirato. Secondo Vinge (che basa la sua tesi sulla legge di Moore, secondo la quale il numero di transistor presenti su un chip raddoppia ogni 24 mesi, raddoppiando quindi la potenza dei calcolatori), il potere di calcolo dei computer cresce a ritmo esponenziale senza che si riesca a vedere la fine di questa crescita. A un certo punto, questa tendenza ci consentirà di costruire computer più intelligenti di quanto noi stessi possiamo esserlo; questi computer intelligenti saranno in grado di progettare per conto loro computer ancora più intelligenti, creando una sorta di loop di “computer intelligenti che costruiscono computer più intelligenti” che accelererà sempre più rapidamente raggiungendo livelli inimmaginabili di intelligenza. Questi progressi nella capacità di calcolo e nell’intelligenza, se disegnati sotto forma di grafico, generano una curva con un tasso di crescita esponenziale che arriva ad approssimarsi a una linea retta verticale che punta all’infinito.
In poche parole, se iniziamo a creare un’intelligenza artificiale generale, comincerà uno sviluppo tecnologico talmente rapido che sfuggirà al nostro controllo. Nel 1954, lo scrittore di fantascienza Fredric Brown ha in qualche modo anticipato tutto ciò nel racconto La Risposta, in cui immagina la costruzione di un “supercomputer galattico” al quale viene chiesto, come prima domanda, se esiste Dio. La risposta è fulminante: «Adesso sì».